Transgender

Transgender

La parola "transgender" copre una gamma di identità ed espressioni di genere che potrebbero non rientrare nell'idea che tutte le persone possano essere classificate come solo uno dei due sessi: maschio o femmina (modello tradizionale binario del genere). L'identità di genere è il modo in cui un individuo percepisce il proprio genere: "io sono uomo" o "io sono donna". Nella maggioranza della popolazione, l'identità, il ruolo di genere e il sesso biologico corrispondono.

Le persone transgender sono coloro che hanno un'identità di genere che differisce dal sesso assegnato loro alla nascita. Persone in cui l’espressione di genere - il modo in cui il genere viene trasmesso agli altri attraverso abbigliamento, comunicazione, manierismi e interessi - e il comportamento non seguono le norme sociali stereotipate per il sesso assegnato loro alla nascita. Persone che identificano ed esprimono il proprio genere in modo fluido al di fuori del concetto binario di genere, e che potrebbero o meno richiedere procedure ormonali o chirurgiche.

Essere transgender non coinvolge l’orientamento sessuale di una persona: attrazione fisica ed emotiva o comportamento sessuale. L'orientamento sessuale è una componente intrinseca di ogni individuo che si esprime in attrazione sentimentale e sessuale tra individui dello stesso sesso biologico.

La disforia di genere è la sensazione di disagio o angoscia che può associarsi alla discrepanza tra identità di genere, sesso assegnato alla nascita o caratteristiche fisiche legate al sesso. Questo tipo di sofferenza non riguarda tutti i transgender. La disforia di genere è elencata nel manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5), un manuale pubblicato dall'American Psychiatric Association per diagnosticare le condizioni mentali. La disforia di genere è una diagnosi che viene data alle persone che avvertono disagio o angoscia a causa della differenza tra identità di genere, sesso assegnato alla nascita o caratteristiche fisiche legate al sesso. Sono però disponibili delle cure per aiutare le persone con tale angoscia ad esplorare la loro identità di genere e trovare un ruolo di genere nel quale si sentano a proprio agio.

Quando ci riferiamo a persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT) è importante prestare attenzione alla terminologia che utilizziamo poiché le dimensioni linguistiche, i concetti espressi tramite specifici linguaggi e i discorsi hanno un potente impatto sulla costruzione della realtà e quindi anche su possibili discriminazioni. Ricorrere a termini “politicamente corretti” infatti può avere molte ricadute positive sulle persone sia sul piano affettivo che psicologico. Quando questo non accade c’è il rischio che si venga a creare distanza o confusione.

Il sesso di una persona assegnato alla nascita, l'identità di genere, l’espressione di genere e l’orientamento sessuale sono cose separate. Possono essere presenti in molte diverse combinazioni. Avere un particolare sesso assegnato alla nascita non significa che una persona abbia una specifica identità di genere o orientamento sessuale. La maggior parte dei bambini sviluppa in genere la capacità di riconoscere ed etichettare gruppi di genere stereotipati, come ragazza, donna, ragazzo e uomo, in un’età compresa tra i 18 ed i 24 mesi, quando con l’emergere del linguaggio il bambino o la bambina testimonia la capacità di definirsi e di comprendersi come maschio o come femmina

Per provare a conoscere meglio i possibili meccanismi eziopatogenetici alla base del transessualismo è stato approfondito lo studio della struttura e del funzionamento del cervello dei maschi e delle femmine. Si sono riscontrate per esempio alcune differenze nella “lateralizzazione emisferica” (il fatto cioè che i due emisferi si specializzino in funzioni diverse), considerata più netta nei maschi e minore nelle femmine: proprio il nucleo sessualmente dimorfico avrebbe dimensioni molto maggiori nei maschi rispetto alle femmine e tale conformazione si ritroverebbe nel cervello delle donne transgender. Altri studi hanno evidenziato un’atipica distribuzione sesso-specifica del volume, numero e densità dei neuroni del terzo nucleo interstiziale dell’ipotalamo anteriore: nelle donne transessuali come quella delle persone di sesso femminile, mentre quella dei maschi transgender era nel range del sesso maschile. Sono state ipotizzate anche influenze genetiche e ormonali, ma i dati della letteratura scientifica sono ancora esigui.

Il trattamento ormonale di conversione di un individuo transgender, una volta confermata la diagnosi, può essere avviato già sin dall’adolescenza. Il trattamento reversibile di sospensione della pubertà con determinate sostanze (analoghi del GnRH) considera che tale procedura, arrestando la progressione dello sviluppo puberale nella direzione biologica non accettata, permetta di ampliare la fase diagnostica consentendo all’adolescente di esplorare la propria identità di genere, senza confrontarsi con il disagio di un corpo che cambia in una direzione non desiderata; permette di migliorare il funzionamento psicosociale riducendo emarginazione e abbandono scolastico e di ottenere migliori risultati fenotipici a distanza in caso di successiva transizione di genere.  La terapia ormonale di conversione, dopo il blocco puberale, ha l’obiettivo di indurre una pubertà congruente con il genere desiderato. In particolare, sono previste dosi crescenti di testosterone o di estrogeni, rispettivamente nelle femmine biologiche e nei maschi biologici. Non esiste una terapia ormonale di conversione “ideale”.  Le finalità sono ottenere il massimo di femminilizzazione o virilizzazione nel più breve tempo possibile e incorrere nel minor numero possibile di effetti collaterali fisici ed emotivi. Il cardine della terapia femminilizzante sono gli estrogeni. Trattando invece dei maschi transgender il principale farmaco virilizzante è il testosterone. Per entrambi il monitoraggio della terapia deve essere fatto ogni 2-3 mesi per il primo anno e successivamente 1-2 volte l’anno.  Gli effetti biologici e fenotipici hanno tempi variabili e possono impiegare dai 6 mesi ai 2 anni per essere visibili. Le terapie ormonali andranno poi proseguite anche dopo eventuale gonadectomia per non incorrere negli effetti collaterali della deprivazione ormonale precoce.

Per chi lo richiede si può procedere alla conversione chirurgica del sesso che in Italia è regolamentata dalla legge n. 164 del 14 aprile 1982 che prevede la spesa a totale carico del Sistema Sanitario Nazionale. Una volta ottenuta l’autorizzazione dal tribunale, che può fornire anche solo quella per la conversione anagrafica (p.e. cambio della carta d’identità), ci si potrà iscrivere alle liste d’attesa ospedaliere per eseguire tali interventi. La chirurgia femminilizzante comprende procedure che alterano l’aspetto fisico per promuovere l'abbinamento del corpo con la propria identità di genere. La chirurgia femminilizzante include molte opzioni, come la chirurgia "top" per aumentare le dimensioni del seno (mastoplastica additiva) e la chirurgia "bottom" per rimuovere i testicoli (orchiectomia) e creare una vagina (vaginoplastica). Possono essere prese in considerazione anche procedure faciali, modifiche delle cartilagini per modificare la voce o procedure di rimodellamento del corpo per creare un aspetto più femminile. Anche la chirurgia virilizzante include diverse opzioni, come la chirurgia "top" per rimuovere il seno e creare un torace più maschile e una chirurgia "bottom" per obliterare la vagina ed aumentare la lunghezza del clitoride (metoidioplastica), creare un pene (falloplastica) o creare uno scroto (scrotoplastica).

Il completamento chirurgico non è per tutte le persone transgender. Molti di loro non scelgono di sottoporsi ad un intervento chirurgico in quanto si relazionano con i loro corpi in modo diverso e faranno scelte individuali più adatte alle proprie esigenze.

La terapia ormonale di conversione è efficace, permette di ottenere un ottimo risultato e non sottopone il paziente a rischi troppo elevati. Deve essere eseguita da parte di un medico che abbia consuetudine con queste problematiche.  Va pertanto scoraggiata nel modo più assoluto la tendenza al “fai da te” e la mancanza di controlli medici e di laboratorio nel tempo. Prima di procedere all'intervento di riassegnazione chirurgica del sesso, si consiglia di consultare un endocrinologo, psichiatra e psicologo per un periodo di almeno 2-3 anni.  La conclusione del percorso di transizione deve essere praticata da un team chirurgico di qualità.

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